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IL MOMENTO DEL REVIVAL NOVANTA

All’indomani del concerto di Cristina D’Avena a Colleferro (luglio 2022) scrissi che “dopo anni di Dik Dik e Camaleonti (e taccio volutamente sul nome di Gigione) il pubblico target della festa di Sant’Anna (ed estensivamente della macroestate colleferrina, ndr) siamo noi. Non esistono categorie di consumi (es.: apericene lunghe con vista apericolazione, tatuaggi, automobili, pizze al pata negra) che possano smentire questo dato incontrovertibile.” Avevo ragione. Quindi, dopo l’interlocutorio main event dello scorso anno (Jerry Calà che cantava cover di chiunque), organizzatori e pubblico si sono ritrovati nel caldo abbraccio del revival anni ’90, epoca in cui sia gli uni che gli altri sono stati veramente giovani.

A mia memoria di storico e antropologo della colleferraggine non ricordo altro evento con tanta gente quanta ne ho vista in occasione dello spettacolo “Nostalgia ’90” del 15/7. La folla andava dalla bocciofila all’ingresso principale della scuola media. Gli esercizi di somministrazione limitrofi o hanno finito tutto o hanno imprecato al cielo per non essere stati aperti. Il gradimento generale per l’amministrazione è cresciuto nella stessa proporzione di quello di Donald Trump dopo il fallito attentato in Pennsylvania.

Per due ore le migliaia (non so quantificare ma erano migliaia, plurale) di accorsi si sono sollazzati con quei suoni così lontani e così familiari danzando ed urlando nei “popporopò” e suoi multipli tutta la vitalità generazionale repressa dal fatto che gli anni ’90, a ben vedere, sono durati solo 10 anni. Vanno ovviamente considerate le propaggini giovanili sfociate negli “anni zero” ed i performer non hanno mancato di includere nel repertorio dello spettacolo anche diversa roba extra. E’ stata spesso reiterata, forse troppo, quella canzone che fa “popporopo? (pausa di 2/4) popporopo?? (pausa di 1/4) popporoporoporoporoporopo!” (capito qual è?). Discutibili, considerato il vastissimo repertorio di hit da cui attingere, anche certi remix nazionalpopolari (Ricchi e Poveri, Umberto Tozzi) e l’insistenza, nella seconda parte dello spettacolo, con gli 883: una sola canzone bastava. Alla fine, e ve lo dice uno a cui questa musica è sempre stata indifferente o sul cazzo, non sono stati riprodotti brani epitomici tipo:
1- “We like to party” dei Vengaboys (“Arriva il Venga pullman e tutti quanti zompano, da New York a San Francisco una discoteca interurbana”)

2- “Let a boy cry” di Gala (struggente inno ribelle della mia prima – ed ultima – estate denz, 1997 A.D.)

 
3- “My heart goes boom” di French Affair (“tariraraaa mitraglia alcolizzà”)

4- “I’m so excited” di Nina Badric (remix dance del brano omonimo delle Pointer Sisters nota presso taluni come “la canzone dell’ano”, se l’ascolti capisci perchè).

C’era invece, ed è stata cantata a cazzo ora come allora, “Freed from desire” di Gala che, sia chiaro a tutti una volta per tutte, non nomina mai e in alcun modo l’isola di Stromboli (bensì dice “he’s got his strong beliefs”). Ditemi poi, in seconda analisi, se, come me, pensate che il testo parli di andropausa.

Adesso si replica il 29/7 (curiosamente sempre di lunedì, come se i sopravvissuti degli anni ’90, come negli anni ’90, non dovessero lavorare) per evento “Destinazione ’90” (non più “Nostalgia ’90”). Era già stato programmato a suo tempo? L’hanno programmato alla svelta dopo il successo dell’altro? Sarà troppo presto per un’iniziativa identica a quella di due settimane prima o è meglio battere il (colle del) ferro quando è caldo? Si saprà il 30/7. A fronte di un’altra affluenza record dovremmo davvero chiederci se tra i titoli platonici che la città assume di tanto in tanto (“Città dello spazio”, “Città della cultura”, “città del betaesaclorocicloesano”, “Città dell’omicidio di Willy Monteiro”) non vada ascritto, e per sempre, “Città della denz anni Novanta”.

Sabino Capogreco

Sabino Capogreco

Riflessioni cinematografiche di cui nessuno sentiva il bisogno

Un contributo di Sabino Capogreco

Povere Creature (Poor things)

Apprezzo la colta commistione dei generi e ambientazioni (gotico, picaresco, steampunk) e le interpretazioni di Defoe, Ruffalo e la Stone (sì, prima delle donne metto l’articolo, problemi?). L’Oscar alla Stone non è neanche azzardato perché simulare tutti quegli orgasmi non deve essere stato semplice. Però, mi chiedo, quali sono i significati metaforici di cui dovremmo tener conto, esclusi quelli comuni (e dunque triti e ritriti) ai summenzionati generi gotico e picaresco? Io non ne vedo altri all’infuori di quel grande classico riportato in auge dalla Signora Antonietta di Piglio nel corso di una recente intervista per “Propaganda Live”: non è ortica (e, se proprio volessimo cambiare rima, neanche “riccio de castegna”).

La zona di interesse (The Zone of Interest)

Film giocato interamente sul contrasto tra la vita agiata della famiglia di Rudolf Höß (da non confondersi con Rudolf Hess) nella magione adiacente al campo di concentramento di Auschwitz e le sinistre architetture che si intravedono oltre il muro di cinta. Del tutto ingiustificata la durata di un’ora e quaranta su questo singolo tema, sebbene si sia tentato di rimpolpare la trama con espedienti di bassa lega come le avventure clandestine (riprese al negativo) dell’inserviente polacca.

Controversa a dir poco l’altra sub-metafora in itinere del bagno nel fiume: Höß e i figli se la stanno spassando al fiume, lui pesca essi fanno il bagno. Poi Rudolf rinviene, verosimilmente, delle ceneri nell’acqua e si precipita a riva trascinandovi anche i figliuoli. Conclusione: eh sì, abitare accanto ad Auschwitz ha anche altri svantaggi oltre alla distanza dal centro e dai principali servizi come la metropolitana, la farmacia e la Posta.

Non sapendo più come menare il can per l’aia ecco la metaforona finale (già vista in “The believer”) del gerarca che discende all’infinito un’oscura tromba di scale tossendo qua e là, il tutto inframezzato dalle moderne immagini del museo che è oggi il campo di concentramento.

Tutto troppo lungo, troppo scontato, troppo didascalico.

Massimo “tappami Levante tappami” Ceccherini, co-sceneggiatore (!) del film concorrente (“Io capitano”) per l’assegnazione dell’oscar al film “straniero”, ha generato un vespaio di polemiche dichiarando: “Tanto lo fanno vincere a nostro discapito perché parla di ebrei”.

Io Capitano

Sollecitato dalle velenose parole di Ceccherini mi sono andato a guardare “Io Capitano” di Matteo Garrone. Qui, per fortuna, non ci sono metafore ma solo la cruda cronaca della migrazione di due senegalesi che da Dakar giungono al largo della Sicilia facendosi strada tra gli atroci soprusi delle diverse mafie schiaviste africane. Tutto molto realista (molto forzato il ricicciamento del cugino) e impressionante, ma, “Tolo Tolo” di Checco Zalone riuscì a stimolare, su una scala ampiamente più larga, le stesse riflessioni sulla stessa tematica con il contrappunto della farsa comica e un abile gioco di satira politica dx-sx che in Italia arrapa sempre chiunque.

Meritava l’Oscar più de “La zona di interesse”? Non meritava nessuno dei due ma siamo comunque nello sciatto territorio delle opinioni personali e, inoltre, non intendo guardare per conferma gli altri impegnatissimi film in concorso.

Godzilla e Kong – Il nuovo impero (Godzilla x Kong – The New Empire)

Bisognoso d’intrattenimento d’evasione mi sparavo, infine, l’ultimo capitolo del “Monsterverse” Warner Bros. Semplicemente esaltante!

I mostroni in CGI fanno a cazzotti per oltre la metà della durata, la trama “umana” a corredo si fa guardare molto più che nei precedenti capitoli della saga dove, invece, faceva brandelli delle gonadi degli spettatori.

Rappresenta motivo d’orgoglio il fatto che tra le metropoli sventrate dalle battaglie tra i titani vi sia anche la nostra capitale. Godzilla infatti dapprima sfragna un immenso crostaceo ripieno di poltiglia marrone (giunto via Ladispoli) in zona Celio-Campitelli, poi, prende dimora all’interno dell’Anfiteatro Flavio (altresì noto come “Coloseo”) acciambellandovisi all’interno, con inconsueta premura, tra lo stupore di un paio dei caramba accorsi. La vicenda trasuda amore il nostro Paese: il Cairo e Rio de Janeiro, siti delle altre megarisse del film hanno visto raso al suolo l’intero loro patrimonio artistico e urbanistico.

Tutto ciò, inoltre, offre l’assist per una tempesta di sapide ricorrenti battute romanocentriche su: buche, traffico, inefficienza dei trasporti pubblici, svalutazione immobiliare in zona Godzilla, impatto del termovalorizzatore di Santa Palomba, coesistenza Papa/Godzilla, Gualtieri che è peggio della Raggi ma più protetto dai media.

Sabino Capogreco

DISINFORMATORI NATI

Sia reso noto a tutti gli interessati che uno straordinario particolare della straordinaria vita di Minà Gianni (17 maggio 1938-27 marzo 2023), così come estensivamente raccontata dalla totalità degli organi di informazione all’indomani della sua dipartita, non è mai accaduto.

Si tratta del tributo che Oliver Stone avrebbe inserito nei dialoghi di Natural Born Killers (1994) alludendo alla mitica intervista fiume del Minà a Fidel Castro del 1987. La storiella, tanto golosa, ha eccitato un numero così vasto di patrioti a caccia di riscontro che, nel momento in cui iniziavi a scrivere la ‘query’ “natural born”, Google ti suggeriva anche “killers minà”.

Putroppo, e questo è il problema, stando ai numerosi risultati questo tributo esiste(rebbe)!
Non faccio liste di proscrizione, intraprendete (sempre gli interessati, ossia i puristi e le persone perbene) la ricerca come sopra digitata e scorrete i risultati. Mi sottrarrò anche dall’ammonire chicchessia sui tempi difficili in cui viviamo: l’arresto intelligentemente artificioso di Donald Trump; il ‘giumbotto’ artificialmente intelligente del papa; ChatGPT che esclude Gentile e Cabrini dalla difesa all-times della Juventus (corretto il resto, anche se io metterei Tardelli per Pirlo a centrocampo); quotidiane sciatterie mai verificate, prese per buone e riprese ovunque fino a diventare verità passivamente accettate dal volgo.

Questo invece è ciò che è realmente accaduto.

Dopo circa un’ora e sei minuti dall’inizio del film (qualcosa in più nella Director’s cut) Wayne Gale (Robert Downey Jr.) si trova a convincere l’assassino di massa Mickey Knox (Woody Harrelson) a concedergli un’intervista per il programma TV “American Maniacs”.

Questi sono i termini ORIGINALI con cui cerca di persuaderlo ad accettare:
“The first in-depth interview with the most charismatic serial killer ever one day before he’s shipped away to a mental hospital for the rest of his life.
This is Wallace and Noriega.
This is Elton John confessing his bisexuality to Rolling Stone.
This is Maysles brothers at Altamont.
This is the Nixon/Frost interviews.”

Questa è la versione ITALIANA:
“La prima intervista vera e in profondità con il più carismatico serial killer di tutti i tempi proprio il giorno prima che venga trasferito in un ospedale psichiatrico dove forse resterà per il resto della sua vita.
È come l’intervista di Wallace a Noriega.
È come Elton John che confessa la sua bisessualità su Rolling Stone.
È come l’intervista di quell’italiano a Fidel Castro.
O come quell’altra fatta da Frost a Nixon.”

Oliver Stone non ha fatto nessun cazzo di omaggio.

Sono i nostri doppiatori/adattatori che hanno cercato di dare in pasto agli abitanti della penisola bagnata dal Mar Ionio qualcosa di più digeribile alla loro comprensione sacrificando, per altro, non un misconosciuto evento “locale” americano, ma quel crocevia fondamentale della storia del rock e del costume che fu il concerto degli Stones all’autodromo di Altamont (1969). I fratelloni Albert e David Maysles, incaricati di dirigere il docu-film dell’evento (“Gimme Shelter” – 1970), tra i vari disordini, catturarono anche l’omicidio di Meredith Hunter da parte degli Hell’s Angels, il che, storiograficamente, pose fine all’epoca del “flower power” (peace & love quessi) e delle non-stop in ciavatte tipo Woodstock (altro evento di cui si sanno solo 3-4 cose generalmente mistificate).
Mi chiedo poi se l’italiano medio del 1994, a cui hanno imboccato questa roba di “quell’italiano a Fidel” a scapito degli Stones (no, dico, cazzo: gli Stones), avesse davvero più possibilità di sapere chi fosse Manuel Antonio Noriega Moreno (11 febbraio 1934 – 29 maggio 2017), generale e politico panamense, citato solo due battute di dialogo più su. Mah.

Tanto dovevo.

Ciao Gianni, insegna agli angeli come intervistare Fidel Castro.

Sabino Capogreco

Sabino Capogreco

Reportage del concerto Cristina D’Avena & Gem Boy live in Colleferro 2022 con riflessioni collaterali di ben altro spessore

Evento divertentissimo e di grandissima partecipazione. Amici cosmopoliti mi avevano fatto precedentemente notare che Cri riempie tranquillamente le sue venue con biglietto a pagamento (15/20 sacchi). Averla avuta gratis nella provincia denuclearizzata mi rende grato a chi ce l’ha portata.

Tutti i miei brani preferiti (“Mila & Shiro” e “I Puffi” della svolta ecologista, in particolare) sono stati eseguiti. Grande sorpresa per “Esplorando il corpo umano”. Travolgente la sequenza Emy-Creamy-Pollon (ed ora so che Emy e Creamy sono due cartoni animati diversi).

Di altissimo livello è stato l’accompagnamento della band “Gem Boy”, a loro volta artisti culto per alcune turpi parodie anni Novanta delle sigle TV più note. Quando si sono messi a “jammare” hanno inserito nei cartoons pregiati assoli rock (Lez Zeppelin, Queen, Chemical Brothers e chissà cos’altro) che hanno esaltato me e chi aveva orecchio per intendere (lo stesso dicasi per l’assolo sax sfociato in The Benny Hill Show).

 

Chiusura trionfale intergenerazionale con “Occhi di gatto”, dopo che il flusso sonoro era finito verso il 2000 e dintorni privilegiando la riscossa dei millennials. Costoro, da “nativi cristiniani” (vedi, ahimè, infra), ci hanno messo più trasporto di quanto non avessimo fatto prima noi, “generazione X” (di recente impropriamente rietichettati “boomer”, che, in realtà sarebbero i nostri genitori, realmente nati in tempo di reale boom economico).

Riflessioni sull’essere: un concerto di Cristina D’Avena a chi è rivolto?

La cantante ha detto di essere nel quarantennale della sua carriera. Tuttora canta sigle nuove, vedasi la nuova serie di Captain Tsubasa (ex “Holly e Benjy”). Io, dall’alto dei miei 44 anni, vengo, addirittura, dal crepuscolo della fase precedente all’ascesa quasi monopolistica di Cri-cri! Quindi ricordo forte e chiaro i robbottoni di Go-Nagai, Lupin di Castellina-Pasi (“Chi lo sa che faccia ha, chissà chi è…”), la prima sigla di Holly e Benj cantata dal bambino con l’enfisema (“Due sportivi, due ragazzi, per il calcio sono fatti…”). Sono andato al concerto animato da sano spirito pop e comuni stimoli nostalgici. Non ho provato alcun disagio né ho pensato, in caso di sua insorgenza, di rivalermi sulla presenza dei miei figli. Molti miei sodali, malgrado l’occasione potesse essere gradita per fare del cazzeggio di ottima qualità, non sono pervenuti. Cari amici, anzi amicici, non esserci stati non cancella il fatto che dopo anni di Dik Dik e Camaleonti (e taccio volutamente sul nome di Gigione) il pubblico target della festa di Sant’Anna siamo noi. Non esistono categorie di consumi (es.: apericene lunghe con vista apericolazione, tatuaggi, automobili, pizze al pata negra) che possano smentire questo dato incontrovertibile.

Terminato il concerto, poco prima dalla mezzanotte, vado ad ubriacarmi. All’una circa mi rincammino sulla via di casa e nel tragitto apprendo che Cristina è ancora lì a fare foto e firmare autografi. Ci provo e mi inserisco come il peggior italiano possibile: quello che in un attimo ottiene lo stesso risultato di chi ha fatto sacrifici per molto più tempo. Cristina era davvero provata dall’ora e passa a fare le dette cazzate (mi dicono che al termine del concerto la fila era chilometrica), per questo suo disagio (di Cri) ho deciso di rivalermi su mio figlio di anni 8 vestito con maglia da gioco ufficiale Nankatsu (ex “New Team”) di Tsubasa Ozora (ex Oliver Hutton o “Holly”). Già si era prestata con molta cortesia con chi mi aveva preceduto, tuttavia la presenza di quell’unico minorenne nottambulo ha generato sensazioni molto più positive rispetto al residuo nugolo di boomers (impropriamente detti). Questo mi porta a dire, in ultima analisi, che una gioventù inconsapevole è generalmente preferibile ad una vecchiaia consapevole, ma delle due, qui ed ora, cari sodali, abbiamo solo la seconda e non potrà che peggiorare.

Spett.le Comitato Festa di S. Anna, potreste per favore portarci (gratis e finché sono ancora vivi e in salute) anche gli Oliver Onions? Vorrei tanto farli sentire a mio figlio ma mi seccherebbe spostarmi e pagare il biglietto.

Setlist del concerto (così come ne ho preso nota, potrebbe contenere inesattezze e note di colore): “i pirati all’arrembaggio”, Mila & Shiro, Che campioni Holly e Benjy, Sailor Moon (versione a me ignota), Terry e Maggie, Taz, Esplorando il corpo umano, Lady Oscar (versione di Cristina, no “Grande festa alla corte di Francia”), Robin Hood, Puffi ECO, Emy, Creamy, Pollon, Kiss me Licia, Sailor Moon (versione a me nota), Medley dei Gem Boy, Stella della Senna, “gli scarafaggi”, Arale e Slump, Gem, Rossana o Roxana, “Johnny magia”, Dragonball (massimo sopravvento canoro delle generazioni recenti), “piccoli problemi di cuore”, canzone su un cartone che parla di sorci, “magica Sabrina”, Occhi di gatto.

Sabino Capogreco

Sabino Capogreco