La pazienza

La pazienza

(in copertina: foto reale delle conseguenze dello smartworking)

È passato un anno di pandemia, da quando il COVID-19 è entrato nelle nostre vite, con il primo lockdown in cui eravamo chiusi tutti in casa ad ora, dove siamo in parte chiuso e in parte no, alcuni si e alcuni no, prima delle 22 ma 2 alla volta.

Io l’avevo detto che non sarebbe andato tutto bene manco per il cazzo

Dire che non è andato tutto bene è inutile, non ho neanche la gioia postuma dell “Io l’avevo detto che non sarebbe andato tutto bene manco per il cazzo”. Mi sono accorto dell’estrema potenza del cervello umano, quella straordinaria macchina che si abitua, che alla fine trova una sua forza ed oggi siamo quelli che non si ricordano neanche quale siano le cose che gli mancano. Perché le videochiamate non piacciono, ma alla fine t’abitui, perché a cena fuori non vai, ma ti abitui al corriere a casa, perché ti abitui anche agli amici solo fino alle 21:30.

Ho scordato come era un cinema, un teatro, un concerto, un gintonic annacquato dal troppo ghiaccio, il caldo nei locali e il freddo fuori, il parcheggio lungo Tevere e i drink per strada. Il panino alle 4 di notte a porta Maggiore.

Foto dall’ultima volta che sono andato a ballare

Torneremo

No, non torneremo a ballare, cantare, saltare e simili… molti non torneranno, prenderanno altre strade. Perché mi sono abituato così, perché ormai sono grande. Vecchio. Stanco.

O forse perché cambieranno le mie priorità o sono già cambiate e nessuno potrà mai ridarmi quest’anno indietro. L’anno in cui devo pensare bene quanti anni compio, o che ho fatto l’anno scorso d’estate o che lavoro faccio o che giorno è oggi. Perché è tutto simile, non uguale ma molto molto simile. Oggi a ieri, l’estate a l’inverno. Un altro aperitivo online, un altro compleanno su Zoom, un altra serata finita alle 19:30. Quello di oggi come quello di un anno fa, come il prossimo.

Quelli che ho perso

E chi ho perso? Dove sono tutte le persone che casualmente non ho incontrato, che non ho salutato, con le quali non è successa quella cosa là di quella giornata che … “ma ti ricordi”? Niente, perse anche loro.

I lavoratori, i dottori, le informazioni, i virologi, le mascherine, i negazionisti, i governi, i ristori. Tutto un bel minestrone nella testa che sopporto, perché finirà. Certo finirà, lo so, ne sono sicuro.

Ho solo paura di come sarò quando finirà. Di quanto tempo ci metterò ad abituarmi alle cose che scoprirò mi piaceranno, chissà se saranno le stesse di prima o saranno nuove, chissà chi ci sarà.

La verità è che ora vorrei qualcuno che canta da un balcone, ma ora siete tutti stufi. Siamo tutti stufi di questa che è una maratona, non uno scatto. Una maratona che non finirà con le vaccinazioni di massa, poi ci metteremo del tempo. Molto tempo. Un esperto saprebbe darvi anche una stima del tempo e sarebbe troppo brutta e per niente di conforto.

Per questo motivo non la avremo, perché il nostro cervello non la vuole la brutta verità. Preferisce sempre una squallida bugia

Non vogliamo una brutta verità. Preferiamo sempre una squallida bugia

E allora il mio messaggio di speranza è:

Forza! Manca poco, non mi devo preoccupare, ora un altro po’ di tempo e poi torneremo ad abbracciarci!

Crediamoci.

Credeteci.

ADDENDUM

Un video del mio amico Simone. Le sue parole:

Arnaldo Polletto ritorna in scena riassumendo nazionalpopolarmente un anno di grandi progressi sociali sulle note di un noto tormentone pubblicitario; il finale è affidato ad una frase di un noto gruppo di Seattle, volta a sottolineare l’attuale situazione ad un anno esatto di distanza. Voce di merda e chitarra scordata per “Cubi cù in Chains” #INTOTHEFLOODAGAIN #cubettiberetta #andràtuttobruno

MiroAdmin